minestra mariconda

Per la consueta rubrica settimanale, oggi vi propongo una “vecchia” ricetta rurale di preparazione della famosa minestra Mariconda. Da questo testo si riesce anche a comprendere, tra gli aforismi del Bestiario Podiense, l’antica origine di questo piatto, abbastanza frequente sulle tavole dei più abbienti. Era fatta con la “pasta” dei “passatelli” ma tagliata a mano ed a tocchetti e cotta in brodo di cappone. Questa portata cadde poi in disuso per l’altissimo contenuto di calorie.

Ne l’anno 88 ante Christum, li exerciti di Roma ne l’Asia Minore eran comandati da lo proconsole Silla. Ad Efeso, nel mentre d’una rivolta di quelli popoli furon trucidati in un sol giorno ben ottantamila soldati di Roma. L’horibbil fatto passò ne la storia con lo nome di “Vespri di Efeso” e costò a lo proconsole Silla la rimotione da lo comando per l’ordine de lo Senato Romano lo quale affidollo a lo console Mario Gajo. Silla rebellossi a la determinatione de lo Senato et co’ la soldataglia sua, la qual l’amava quale un padre, marciò contra l’Urbe Eterna, contra Mario et lo potente exercito suo.

Vittoriosamente Silla mena battaglie contra battaglie vêr Mario et lo suo exercito, tanto che a la fin fine conquista Roma restaurando quivi l’autorità senatoria ne la quale li plebisciti acquistan forza de legge qualora soltanto abbian l’approvatione de lo Senato Romano.

Ne l’anno 86 ante Christum, Mario lascia cotesta valle di lacreme durante lo suo settimo consolato. Pochi mesi pria, allorquando Silla dovette ripartir per l’Asia Minore al fine d’aggiogar quegli poppoli, Mario, associatosi a Cinna, riconquistò Roma et ivi istaurò uno regime de terore.

Ne l’anno 83 ante Christum, Silla, dopo aver annientato lo re de lo Ponto, Mitridate, et pacificata l’Asia Minore co’ la “Pace de Dardano”, tornò a Roma et ebbesi la così ditta “Dittatura de Silla” la qual durerassi infino a l’anno 78 ante Christum segnata da carneficine et delitti horibbili.

Et quivi tralasciam l’istoria ch’ognun conosce per contar la nostra, la qual vera verità stassi ognora, imperocché innumerevol documenta et testimonianze son ne le mani nostre a dispositione de qualsivoglia persona la qual desideri consultar lori. Fin da hora se deve render noto a tal coragiosiximo individuo, ch’egli ad exlusivo periglio suo consulterassi detti reperti, inquantoché essi son provati vehicoli de calli, duroni, unghie incarnite, peste nera, peste gialla, colpo appoplettico, vaiolo, scabbia, lebbra, caduta de li capilli, mal de vantrone et de rognone, toxe asinina, cavallina et etiandio canina (la majormente debilitante, fin a la morte in diverse occasioni).

Ciò detto, eccho a Voi la nostra istoria!

Fue durante la battaglia de Minturno che Silla sbaragliò lo divo Mario Gajo et l’exercito suo. Mario scapette a gambe levate et trovò temporaneo rifugio ne lo sacro boschetto contenente le vestigia de le tempietto che l’antichi abitatori de lo Sannio aueàn eretto a l’antiquissima divinità italica gnomata Marìca, lo culto per la quale erat ivi particularmente sentuto. La dea Marìca, da superficialiximi pseudostudiosi est stata identificata sia con la dea Venere, sia con la dea Diana. Li nostri studi portanci a tranquilammente affermar che l’antichi Tarquinii gnomaron Marìca la notixima maga Circe la qual teneva casa et ivi erat venerata, in su lo Monte Circeo ove a suo tempo hospitò lo divo Ænea.

Bando a la grossa istoria e torniam a lo nostro divo Mario Gajo lo qual, dopo la nefanda battaglia, riposandosi nei pressi delle vestigia de lo tempietto, lo colpì una fame orba. Rivoltosi a uno suo scherano, chiesegli s’aveva qualchosa da metter sotto a li denti. Lo scheran onorossi d’esser chiamato in causa et in quattro fecesi al fin de satisfacere lo condottiero suo sì sfortunato. Di tra li rottami de le vestigia de lo tempietto, Ursinus (così gnomavasi lo scherano) raccattò una urna votiva de brontius cui mancava mezzus collo et era lurida et laida: ma altro recipiente non eravi colà attorno. Ursinus, qual strale da giovin guerriero scoccato, diedesi da fare: ne lo Liri flumen appulisce l’urna, affascina sterpi secchi, li qual v’eran in abbundantia, appicca lo foco con acconcia pietra focaia et con tre tocchi de lance spezzate appresta uno treppiede a lo qual attacca l’urna co’ la catenina ch’aueua a lo collo, dono de la madre sua in occasion de la dippartita per la guera.

Ne lo miserabbil tascapane aueua de li tocchi de pan de farro et tre, oppur quattro, croste de pecorino staggionato. Senza pôr tempo in mezzo, buttò tutto quanto nell’acqua drento l’urna e gurardossi intorno al fin de raccattar qualch’erba per insaporir vieppiù la pietanza. Colse del tarassaco, diuretico et lassativo, de l’erba cipollina, de lo mirto, divino, de’ ramioletti de serpillus et de lherba prezzemolina et, appresso questa, s’avvide de uno nido de fagiana co’ ventisette uova ancor caldi. Ursinus raccolse tutto quel ben de Jupiter et tutto scaraventò ne l’urna ne la qual l’acqua a lo primo bollor s’appropinquava.

Tutt’a l’intorno diffusesi gradeuoliximo profumo de bona roba. Lo general Mario Gajo alargava et aguzzava le nari sue et tutto ciò le muoveva gran brontolar de panza et ingigantiva vieppiù la fame sua, tanto ch’auerebbe manducato un bimbo merdo et lurido.

Alorquando Ursinus judicò cotto l’intruglio, presentollo a lo capitan suo prontiximo, tutavia, a scappar a gambe leuate se lo signor suo auesse esputtato quanto aueua preparato.

Sarà stata l’aria mixteriosa che circondava lo sacro loco; sarà istatto che senza volerlo Ursinus aueua fatto una chosa meravigliosa; sarà che la grandixima fame de Mario Gajo apprezzar aurebbe fatto qualsivoglia pietanza, stassi lo fatto che dopo auer mangiato quanto preparato da Ursinus, emise uno rutto tale che li rondoni pollaiati su le vestigia de lo tempietto dedicato a Marìconda, fugiron cercando lontana salvatione.

Inhuttil riferire ch’allorquando lo console Mario Gajo tornò a Roma da vincitore, Ursinus videsi aumentar lo censo e fue gnomato uffitial cuocco de la cucina de lo console. Il desso affinò majormente la estemporanea ricettatione eseguita ne lo mixteriosiximo boschetto et n’uscì una minestra spexiximo richiesta da lo console.

Avegnaché tornò Silla et quilli ch’eran stati de lo partito de Mario Gajo se ne douettero fugire da Roma se voleuan la testa tener taccata a lo collo. Ursinus caricò moglie, figli et alchune supeletili sur un carro tirato da due paia di bovi chianini, pieni di forza et ubidienti a li comandi. Sanza rendersi conto effettuò lo mismo tragitto ch’alcuni secoli prima aueuan fatto l’antichi Truschi Tarquinii: risalette la peninsula italica fino a lo Padus flumen et ivi fermossi.

Lo loco nel qual era capitato, ricco d’acque, de foreste et de selvaggina et inoltre de piantamenti de farro, de triticum, de rappe, et altr’herbe, gnomavasi Podjum Ruscii. Li indivvidui ch’ivi abitavan eran buoni, laboriosi et ospitali, tanto che, Ursinus e la famiglia sua, vi si stabbiliron definitiuamente.

Inhutil rifferire che la ricetta de la minestra, diffusesi a poco a poco in tutta quilla plaga ed a chi chiedeua ad Ursinus qual’era lo nome de la minestra, questi rispondeua che gnomavasi MARÌCONDA et in cuor suo rendeva omaggio a la Dea ch’aueua auto lo tempietto a lei dedicato nei pressi de la focce de lo Liri flumen ne li prexi de Minturno.

Con tale nome, MARÌCONDA, la minestra giunta a li nostri giorni, et hodje, lo 23 septembre 1384, nui cuocchi de la Duchal cuccina presentiam ella a Sua Altezza Serenixima lo Duca Francesco I°, signore de Mantua e de lo Duchato de’ Gonzaga, affinché diane exlusivo et insindaccabil juìcio.

Ursinus, polvere essendo, da almen tredici secoli polvere erat tornato: ma la sua inventione est anchor valida et continuamente utilizatta. Son, però, istatti modificati et rafinati alchuni elementi cche compongon ella. In primis, lo liquido ovve si cuoccion l’elementi est diventuto uno brodo da lecarsi li baffi imperocché ne la solita acqua limpida di fonte, una volta messa a lo foco, si butta un mondato cappon unitamente a polpa bovina, ossa pure bovini ed erbette con radici de l’orto appo la casa. Nel mentre lo foco stempera le carni et la verzura, sur uno capacce tagliere s’uniran due parti de grana ed una parte di pan raffermo, ambedue gratugiati. In capacce ciotola si batton con ferro apposito due uova de gallina faraona per ogni testa appo la tavola. Ne la capacce ciotola si versa lo miscuglio de grana co’l pan raffermo e si mesta con cucchiajon de legno fino a far un impasto piuttosto solido e tosto. Consigliabile est d’immeter ne l’impasto poca noce d’Æthiopia ben gratugiata et anco spezie de l’Oriente misterioso… Lasciato riposar per qualche tempo, lo impasto est pronto per esser tratatto. Con mano lavata et mondata, prendasi un pugno d’impasto et, poggiato a lo tagliere, se ne faccia un bigolo qual consistente giovane pene eretto. Metter lo bigolo normalmente a lo lato de lo tagliere contra lo qual stassi la panza vostra. Far sporgere lo bigolo de due opur tre dita e, tenendolo saldo co’ la man manca, co’ la dritta strapar lo pezzo. Inhuttil dire che se la rasdora stassi mancina, al posto de la dritta sta la manca e viceversa. Si continua così a far bigoli, farli sporger da l’orlo de lo tagliere e strappar li pezzi d’impasto. Allorquando tutto l’impasto est stato bigolato, spezzato et poggiato sur lo tagliere medesmo, lo si raccatta entro un lindo lino et, alzato lo coperchio de lo recipente in cui carne et verzura son diventuti brodo, si butta dentro lo tutto et s’aspetta. Quando vedrassi li pezzi d’impasto salir a galla ne lo maraviglioso brodo, essi son cotti e pronti all’imbandimento dentro li piatti fondi di bianchissima majollica.

Apprestatevi, or quindi, a mangiar la MARÌCONDA!

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