Mario Setti

Tra pochi giorni comincerà l’ormai tradizionale “Fiera di Settembre”. Questa rinomata sagra paesana si protrae fin dai primi del ‘900, radunando in “piazza” la popolazione di Poggio Rusco e dei paesi limitrofi. Qualche vecchio, ricorderà quello che successe in una “particolare” fiera alla fine degli anni trenta del passato secolo; il fatto mi ha dato modo di raccontare, un poco romanzando, “La fiera profumata”.

Il divertente brano narra di alcune bravate di Renato, giovane protagonista del racconto, che riuscì a rovinare il risveglio dei poggesi all’indomani della fiera di Settembre, rendendo il centro del paese tutt’altro che “profumato”. Ecco alcuni stralci del testo.

via matteotti in una cartolina d'epoca

Era quasi l’ora di cena di quella domenica pomeriggio, in cui la tradizionale fiera di settembre aveva avuto una partecipazione di popolo come non succedeva da decenni. Giostre, baracconi, venditori di giocattoli, di dolciumi, di spartiti musicali e giocolieri da piazza, avevano fatto affari d’oro. Tra l’altro, in chi spendeva e in chi incassava era spontaneamente nata una generale gaiezza che, via via, aveva contagiato tutte le persone che partecipavano alla manifestazione. […]

In quel particolare momento, in cui la Piazza appariva deserta, Renato, che aveva accompagnato una ragazza fino al Casìn, facendole promettere, nel lasciarla, che dopo cena si sarebbero rivisti, affamato come un lupo piacentino, tornava a casa per cenare. […] Nell’effettuare questo tragitto, vide distintamente dietro l’edicola ‘d Rastléra, in Piazzetta Pescheria, il vicesegretario politico vestito in orbace d’ordinanza, Rodolfo Cugola detto Capetéra. […] quando Renato lo vide, e da tale vista nacque l’immediata, diabolica idea che lo fece dar di volta.  Afferrò il guanto con la sinistra, tenendolo in modo che l’imboccatura fosse la più aperta ottenibile. Introdusse la maggiore quantità possibile della fresca testimonianza organica della fisiologia umana, facendo assumere al cartone con cui l’aveva raccolta, una parvenza d’imbuto tagliato longitudinalmente. Rimise il guanto, piuttosto gonfio, sulla sella e… se la filò all’inglese.

[…]

Al gemito seguì uno spostamento del telo dietro al quale il movimento aveva messo in mostra, ben evidenziato dalle ombre provocate dalla lampadina dell’illuminazione pubblica, un prosperoso deretano. All’improvviso, impensabilmente, successe la scellerataggine. […] Aveva, quindi, raccolto uno dei travicelli appoggiati a terra per fissare il telo contro il vento, s’era messo bene in posizione a gambe larghe e, come il ricevitore del baseball percuote la palla di legno e piombo lanciatagli, a due braccia, aveva colpito violentemente dove c’era la sporgenza. Buttato il travicello a terra, aveva svoltato l’angolo, era salito a quattro gradini per volta le due rampe di scale, aveva aperto la porta d’ingresso dell’appartamento e s’era precipitato, quasi senza rumore, nella sua stanza. Aprì le imposte proprio nel momento in cui, giù in strada, la donna gridava tutto il suo dolore con quanta forza aveva in corpo, e ignaro, nel tentativo di capire quanto era successo alla consorte, gridava come un ossesso anche il marito.

E’ possibile scaricare e leggere l’intero documento QUI.

Mario Setti

 

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